Ero agli inizi degli anni ’90, quando, giovane frate carmelitano, nella cella del convento carmelitano di Milano, ebbi una profonda rivelazione: nella solitudine della mia stanza scopersi il piacere sublime dell’epidermico tatto.
Premessa.
Nel libro “Teoria del corpo amoroso” il filosofo Michel Onfray scrive: “Il versetto della Prima lettera ai Corinzi insegna: È meglio sposarsi che ardere di passione. Questa frase si trova citata, commentata, ripresa, analizzata, sezionata, esaminata in ogni minimo particolare in tutta la letteratura patrologica consacrata ai rapporti tra uomini e donne per almeno mille anni. E noi viviamo ancora secondo questa formula, comprese le coppie laiche, non cristiane, atee, ma educate secondo il modello ideologico dominante” (Michel Onfray, Teoria del corpo amoroso. Per un’erotica solare, 2006, Roma, Fazi Editore, p. 91). E poco oltre aggiunge, parlando dell’esaltazione della verginità come modello di vita proposto dagli autori dei primi secoli della cristianità: “L’abolizione integrale della sessualità implica lo sradicamento assoluto dei desideri, di tutti i desideri, e l’interdizione formale del piacere, di ogni piacere” (idem., p. 92). E conclude dichiarando che “mai una spiritualità collettiva ha lavorato tanto a distruggere il corpo, a negare la vita e screditare la realtà” (idem., p. 96).
Soma-Sema: fuga mundi.
Questa interpretazione del passo paolino poggia su una rivisitazione in chiave cristiana di un passaggio di Platone. Il filosofo greco scriveva: “Dicono alcuni che il corpo (soma) è tomba (séma) dell’anima, quasi che ella vi sia sepolta durante la vita presente (…) come a dire che l’anima paghi la pena delle colpe che deve pagare, e perciò abbia intorno a sé, finché si salvi, questa cintura corporea a immagine di una prigione; e così il corpo, come il nome stesso significa, è custodia (sém) dell’anima finché essa non abbia pagato compiutamente ciò che deve pagare” (Platone, Opere, vol. I, 1967, Bari, Laterza, pp. 213-214).
Il testo ha diverse valenze, con accezioni anche positive riguardo al corpo, dal momento che per il filosofo esso, non solo imprigiona, ma anche custodisce l’anima.
La rilettura di questo testo da parte dei padri della chiesa, invece, ne ha evidenziato solo il lato negativo, trasformando il corpo in una pesante zavorra da cui doversi liberare, attraverso il suo disprezzo, la sua negazione e l’abbandono definitivo di ogni voluttà.
Questa corrente spirituale è arrivata fino a noi e io sono cresciuto dentro un cattolicesimo impregnato di questa strisciante sessuofobia. E così la mia personale ricerca spirituale mi ha condotto, attraverso pratiche ascetiche di rinuncia, digiuni, mortificazioni (sono stato allevato a fioretti di ogni sorta), verso il disprezzo del mio corpo.
C’è un interessante studio di Rudolph Bell (“Holy Anorexia”, 1985, The University of Chicago; “La santa anoressia” trad. it. 1987, Bari, Laterza) nel quale l’Autore affronta questo fenomeno caratteristico di alcune sante – tra cui l’italiana Caterina da Siena – che, tramite il rifiuto del cibo e la conseguente consunzione del proprio corpo, anche tramite punizioni corporali, si predisponevano all’unione mistica con Cristo. E, in effetti, anche io ricordo di aver rasentato simili devianze, in nome di un ascetismo angelico di fuga da questo mondo; e dalla carne.
L’incarnazione: la salvezza nella carne.
Eppure il cristianesimo si fonda proprio sulla carne. Oserei dire che affonda le radici nella carne. Non è un caso che un suo perno centrale sia il tema teologico dell’incarnazione del divino. A tal punto che alcune professioni di fede affermano, rispetto ai temi escatologici, la resurrezione della carne: usano proprio il termine “carne”; non “corpo”.
Anche in me a un certo punto la carne ha fatto sentire la sua voce: ha alzato la testa con prepotenza, mandando in frantumi quella disumana spiritualità che mi stava trasformando in un etereo angelo evanescente e sprezzante. E così mi sono ritrovato schiaffato in quelle che ritenevo essere le sozzure del corpo: fantasie sessuali e masturbazioni a gogò.
Nel suo libro “Morale ebraica e morale cristiana” (1997, Torino, Marietti editore), il rabbino di Livorno Elia Benamozegh (1823-1900) criticava a più riprese il cristianesimo, sostenendo che l’equilibro proprio dell’ebraismo veniva sbilanciato dal cristianesimo verso la spiritualità. Con gravi conseguenze, perché la proclamazione avventata del regno dello spirito conduce ad un «disprezzo del corpo». E da questo disprezzo non risultano solo «prodigi di virtù». Al contrario, come la storia prova, possono derivare paradossalmente anche «il più vile materialismo, la licenza più sfrenata, l’immoralità più mostruosa». Abbandonato a se stesso, il corpo reagisce e si ribella con intemperanza e sregolatezza.
E in effetti, quanto più lo spiritualismo angelico in me cercava di librarsi alto verso i cieli dei cieli, tanto più gli “istinti bestiali” emergevano in me in forma di ossessionanti fantasie sessuali, pensieri e immagini (specie durante i momenti di meditazione silenziosa) miste a un irrefrenabile impulso a masturbarmi diverse volte al giorno.
Oh – sia chiaro: non che io consideri la masturbazione qualcosa di basso e lascivo; ma ai tempi la vivevo come una caduta miserrima nel fango di squallidi impulsi. Ma proprio questa è stata la mia salvezza. Come dico spesso: il sesso mi ha salvato! Perché la carne in me ha reclamato forte la sua esistenza e ha preteso una giusta re-integrazione.
Un’improvvisa rivelazione: epidermici orgasmi.
E così, all’improvviso, come spesso accade nelle esperienze mistiche, mentre un giorno me ne stavo sdraiato sul giaciglio della mia cella monacale ascoltando assorto il preludio, corale e fuga del musicista César Franck, spontaneamente iniziai ad accarezzare la mia pelle: prima le braccia, poi le mani, quindi, spogliandomi pian piano fino a restare nudo, il petto, le gambe… sfiorando delicatamente ogni centimetro del mio corpo, in sintonia col ritmo della musica che mi guidava.
Fu una vera e propria scoperta per me: per la prima volta nella mia vita, quel tocco delicato del mio corpo mi faceva sentire uno: spirito e corpo insieme, fusi nella stessa esperienza sensuale.
Non ebbi nessuna eiaculazione e non ebbi neppure il bisogno di masturbarmi, perché quel tocco delicato, leggero e costante produceva in me un piacere così intenso e profondo che ogni orgasmo genitale sarebbe stato banale al confronto. Era una eccitazione di quello stupendo organo esteso che possediamo e che è la pelle, la quale vibrava sotto il mio tocco e produceva scosse eccitatorie in tutte le terminazioni nervose, con un conseguente rilascio di endorfine che mi mandarono in estasi. Un vero e proprio lunghissimo orgasmo epidermico!
Fu per me davvero un’esperienza mistica: mi sentii profondamente uno, integro e completo, fuso col tutto e immerso in una energia che mi attraversava e trascendeva insieme.
E da lì tutto in me cambiò.
Risveglio alla terra: una spiritualità incarnata.
Scopersi quanto Giuliana di Norwick descrisse con queste parole: “Il corpo e l’anima formano una unione gloriosa e la nostra santa sensualità inizia nel momento in cui siamo benedetti originariamente, giacchè quando la nostra anima vinee insufflata nel corpo è allora che diventiamo esseri sensuali.” (Matthew Fox, In principio era la gioia, 2011, Roma, Fazi editore, p. 68).
Anche Ildegarda di Bingen, sulla stessa scia, dichiara: “La terra è nel contempo la madre, la madre di tutto ciò che è naturale, la madre di tutto ciò che è umano (…) E, inoltre, non fornisce solo il materiale per gli esseri umani, ma anche la sostanza per l’Incarnazione del Figlio di Dio” (ibid., p. 70).
Fatto che porta Matilde di Magdeburgo a esortare: “Non disprezzare il tuo corpo, perché l’anima è al sicuro nel corpo come nel Regno dei Cieli” (ibid., p70).
È questa spiritualità che mi si dischiuse all’improvviso grazie a quei delicati tocchi. Una spiritualità profondamente biblica e cristiana. Una via spirituale percorsa da tante persone nella storia, ma poi oscurata e dimenticata dall’ostracismo, operato da una visione miope e malata del cristianesimo, nei confronti dell’eros visto come antitetico e più vile dell’agape.
Eppure, come afferma il teologo Mattew Fox, da sempre il cristianesimo, col principio dell’incarnazione aveva affermato che “lungi dall’essere respinto dalla nostra sensualità, Dio è nella nostra sensualità.” (ibid., p. 68)
Queering God: un’ermeneutica sensuale.
E se Dio è nella nostra sensualità, allora, che occorre ricercarlo proprio lì. È l’obiettivo della teologia queer; la quale dichiara: “dobbiamo recuperare in teologia la memoria dello scandalo e dobbiamo farlo in modo categorico. Questo è lo scandalo che la teologia totalitaria ha evitato con cura (…) E lo scandalo teologico è che i corpi parlano e Dio parla per mezzo loro.” (Marcella Althaus-Reid, Il Dio queer, 2014, Torino, Queriniana, p. 92).
Ecco allora l’importanza di far parlare i nostri corpi, la nostra sensualità, le nostre sessualità; non piegandole al modello ideologico dominante, ma lasciando che siano così come sono, anche nei loro vicoli bui e oscuri. E ascoltare Dio (la vita, lo spirito) parlarci proprio da lì.
Conclusione.
E chiudo. Scrive il filosofo Onfray: “La famiglia occidentale si costruisce in relazione al fallo e si irradia attorno a questo asse preistorico. Il modello naturalistico e organicistico fornisce le basi della fallocrazia e ne indica i modelli predisposti (…) Da qui le figure obbligate dell’eterosessualità, della monogamia, della fedeltà e della riproduzione” (Michel Onfray, Teoria del corpo amoroso. Per un’erotica solare, 2006, Roma, Fazi Editore, p. 141).
Parlare di orgasmi epidermici, allora, significa per me rompere con questo dominio del fallo. Non per annullare o negare il sacro Lingam. Sia ben chiaro. Ma per incrinare quella cultura dominate che unisce l’orgasmo unicamente al fallo; e ci impedisce, quindi, di considerare e coltivare l’orgasmo femminile e anche di ampliare lo spettro degli orgasmi multipli che ciascun@ di noi potrebbe gustarsi, indipendentemente e al di là dal fallo.
Perché a volte un lungo orgasmo epidermico val più di mille eiaculazioni più o meno precoci.
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