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ELOGIO DEL PIACERE. Per una erotica solare

Prendo spunto del titolo di questo numero della rivista per riprendere in mano e ripercorrere insieme a voi la proposta che il filosofo francese Michel Onfray presentò anni orsono in un suo testo (Michel Onfray, Teoria del corpo amoroso. Per un’erotica solare, 2006, Roma, Fazi Editore). Un libro che fu elogiato dalla critica, ma - ahimè - rimase inascoltato dalla cultura e società, viste le recrudescenze puritane cui stiamo assistendo negli ultimi tempi, non solo in Italia.

 

Premessa.


Come dichiara il filosofo all’inizio dell’opera, la sua proposta va nella direzione di un recupero di alcune antiche correnti filosofiche, allo scopo di abbattere il modello etico ancora dominante.


Dichiara Onfray: “La prima tappa, critica, del mio pensiero implica una decostruzione dell’ideale ascetico” (idem, p. 18). Un modello che nasce dal platonismo, viene ripreso dei Padri della Chiesa e, attraverso il cristianesimo, si insinua così profondamente nella cultura occidentale da giungere fino a noi, in un serpeggiante disprezzo verso il sesso. In particolare, nei primi capitoli del libro, il filosofo francese mina dalle fondamenta alcuni presupposti platonici in merito al desiderio, che hanno portato con sé nei secoli quell’opposizione tra corpo e spirito ancora presente oggi nella nostra società che considera “osceni” gli atti sessuali e la nudità. In seguito, aggiunge Onfray: “la seconda tappa, propositiva, propone un’alternativa all’ordine dominante grazie alla formulazione di un materialismo edonista” (idem, p. 19).


Ma… seguiamo il filosofo passo passo in questa sua proposta.

 

 

Alla ricerca della dolce metà perduta.


Un primo elemento che Onfray evidenzia, e sottopone a dura critica, è l’interpretazione del desiderio come mancanza. Scorrendo l’opera di Platone “Il Simposio”, il filosofo francese ricorda al lettore che a un certo punto del dialogo un commensale, Aristofane, espone la propria ipotesi sull’origine del desiderio, raccontando il mito greco dell’androgino. Ecco in sintesi il racconto: nell’età primitiva, tutti gli uomini avevano una forma rotonda, con quattro braccia, quattro gambe, due volti e quattro orecchie. Essi si muovevano avanti e indietro con movimenti circolari. A causa, però, del loro crescente potere che aveva finito per minacciare l’Olimpo, Zeus si consultò con gli altri dei e decisero di indebolire gli uomini tagliandoli a metà. Da quel momento in poi ogni pezzo, desideroso della totalità distrutta, cerca e desidera l’altra parte per realizzare il tutto. Da questo mito risulta una interpretazione del desiderio come mancanza (dell’altra metà). Come risultato il desiderio assume una connotazione fondamentalmente negativa: è una sofferenza/mancanza che deve essere sanata.


Questa interpretazione del desiderio contiene almeno due presupposti: si desidera perché ci manca qualcosa; se abbiamo la sorte di trovare l’altra (dolce) metà saremo appagati per sempre.


Niente di più falso – dichiara Onfray! Innanzitutto “l’altra metà non si trova mai perché è fittizia” (idem, p. 37). In secondo luogo il desiderio non si placa affatto una volta che la coppia si forma (idem, pp. 37ss). Anzi si moltiplica!


Oltretutto, il filosofo vede nella metafora della coppia, intesa come sfera ricongiunta dall’unione di due metà, un archetipo narcisistico e patologico; a tal punto da affermare che “l’idea che la sfera costituisca il modello della coppia genera la maggior parte delle nevrosi prodotte dall’Occidente in materia di amore, di sessualità o di relazioni sessuate” (idem, p. 39). 


In effetti Onfray non ha tutti i torti, se guardiamo molte coppie e famiglie odierne.

 

 

Il matrimonio: remedium concupiscientiae.


Partendo da questa premessa (desideriamo perché ci manca la “dolce metà”) risulta inevitabile che la coppia normata diventi l’unica soluzione socialmente possibile e, quindi, di conseguenza, la monogamia assuma lo statuto di imperativo morale assoluto.


Entra qui in gioco l’apostolo Paolo e, al suo seguito, tutti quei Padri della Chiesa che, riprendendo e reinterpretando il platonismo, enfatizzano la negatività del desiderio (che da “mancanza” diventa “condanna” inflitta all’umanità a causa di un suo presunto peccato “ab origine”) e il conseguente bisogno etico di porvi rimedio, arginando in ogni modo le sue pulsioni. E così il versetto della Prima Lettera ai Corinzi “è meglio sposarsi che ardere” diviene un must. Un imperativo ancora presente nella nostra cultura. Scrive Onfray: “noi viviamo ancora secondo questa formula, comprese le coppie laiche, non cristiane, pure atee, ma educate secondo il modello ideologico dominante: per non dover bruciare, i più si adattano alla vita di coppia” (idem, p.91). E più avanti il filosofo francese aggiunge: “Dopo tremila anni o quali, l’ideologia familista si basa sempre su questa opzione della scomparsa dei conflitti, della riduzione delle differenze, della disintegrazione delle alterità e della realizzazione di una fusione assimilata alla confusione” (idem, p. 153).

 

 

Il desiderio come eccesso.


In alternativa alla simbolica dell’altra metà e all’interpretazione del desiderio come mancanza, Onfray ripropone e riattualizza il modello epicureo del desiderio come energia vitale.


Prendendo, innanzitutto, spunto dai filosofi presocratici, egli ricorda che per esempio “Democrito legge il desiderio come energia che deriva da una certa organizzazione degli atomi, come forza che dipende dalle forme particolari della materia” (idem, p. 51). E quindi “il desiderio, più che risiedere miticamente in un’ipotetica frattura divina (…) è questione di flussi, forze, energie” (idem, p. 52). Non vi è nessuna originaria unità perduta da ricostruire, nessuna “dolce” metà da ritrovare, nessuna mancanza da colmare… ma un flusso di energia da lasciar scorrere. E, ricorda Onfray, in questa direzione i filosofi cinici erano usi masturbarsi pubblicamente o affannarsi su una donna nel bel mezzo di una pubblica piazza o avere relazioni libertine a dispetto dell’opinione altrui.

 

 

Eudaimonia… come dieta dei piaceri.


A fronte, però, di questo eccesso cinico di energia pubblicamente dispersa, Epicuro propose una dietetica delle passioni basata sul concetto di eudaimonia. Egli ritiene che il sommo bene dell’uomo sia il piacere, di cui egli distingue due fondamentali tipologie: il piacere catastematico (statico) e il piacere cinetico (dinamico). Il secondo è passeggero ed effimero, che dura per un istante e lascia poi l'uomo più insoddisfatto di prima; mentre il piacere catastematico è durevole e consta nella capacità di sapersi accontentare della vita, di godere di ogni momento come se fosse l'ultimo, senza preoccupazioni per l'avvenire.


In questa direzione Epicuro propone un godimento dei piaceri della vita (e quindi anche del sesso) ma in modo tale che essi non turbino la sostanziale felicità e serenità di fondo (atarassia).


Il suo non è un invito alla moderazione che nasce da una visione negativa del piacere. Anzi, il piacere da lui proposto “mira a evitare il dolore: ciò che importa… non è tanto l’ascetismo come metodo e messo quanto la serenità, l’assenza di sofferenza come obiettivo e fine” (idem, p. 113).

 

 

Ars amandi: per un libertinaggio solare.


Partendo da questa prospettiva, Orazio sdogana un libertinaggio inteso come solare volontà di godimento. Scrive Onfray: “Il libertinaggio invita a scoprire la pura gioia di esistere, di essere al mondo, di vivere, di sentirsi energia in movimento, forza dinamica. Anche sul terreno amoroso, sensuale e sessuale” (idem, p. 121).


Bando a tutte le mitologie e proibizioni platoniche, l’epicureismo di Orazio propone un’etica della cura di sé, fondata nell’autonomia come “arte di essere norma a se stessi” (idem, p. 119).


Il famoso suo detto carpe diem vale anche in amore: “non c’è bisogno di appesantire il momento presente (…) trionfino pure la voluttà dell’istante, l’unica realtà del presente” (idem, p. 120).  Ciò che in fondo Orazio insegna è l’arte di amare la vita così come si presenta momento dopo momento.


Sempre su questa scia, Ovidio, col suo libretto Ars amatoria, “dirige la sua macchina da guerra contro il platonismo e le costruzioni ideologiche basate su finzioni intelligibili” (idem, p. 127) e propone un epicureismo edonista e assolutamente pragmatico: ciò che conta per Ovidio non è la Verità, le Idee, il Vero, ma il piacere; e di contro, l’evitamento di tutto ciò che produce sofferenza. “Il precetto che anima L’arte di amare brilla per semplicità: cedere procura meno sofferenze che resistere” (idem, p. 124).

 

 

Un libertinaggio solare egualitario.


Prendendo spunto proprio da questa prospettiva, Onfray propone la sua prospettiva scrivendo: “dissociativo, demistificatore, prospettivista e pragmatico, il libertinaggio di cui cerco le forme inaugurali in Ovidio trova ugualmente una formula essenziale nell’ugualitarismo: antidoto alla misoginia ebraico-cristiana (…) Né violenza fallocratica, né isteria da suffragette, né patriarcato, né matriarcato, ma rifiuto del potere dell’uno sull’altro, del dominio di un genere sull’altro, né il solito stupro eterosessuale, né autismo omosessuale da ripiegamento lesbico: il libertinaggio solare comprende essenzialmente e fondamentalmente l’uomo e la donna sullo stesso meridiano e lo stesso pianeta ontologico. Ciò che vale per uno di essi vale anche per l’altro, senza nessuna eccezione, senza nessuno strappo” (idem, p. 128).


Chiedendosi, poi, in cosa consista il solare dentro l’erotica da lui proposta, Onfray risponde: “L’erotica solare si basa su una formidabile volontà di godimento, il cui principio assiomatico implica un grande sì all’esistenza”. (idem, p. 123) Un godimento che, però, è scevro da ogni forma di dominio o sfruttamento; un piacere dove centrale è la categoria dell’eguaglianza: “Contro la brutalità feudale e la violenza borghese, la logica dell’Eros leggero formula una morale della cura dell’altro. Da qui la promozione di virtù costruttive nell’economia di quest’etica della voluttà: premura, tenerezza, dolcezza, pazienza e devozione sia nei confronti dell’anima che del corpo dell’altro” (idem, p. 129). E conclude Onfray: “Ovidio propone un’erotica… che manifesta una profonda uguaglianza di trattamento dei due sessi (…) L’egualitarismo professato da Ovidio si manifesta persino negli sbocchi e nelle conclusioni dell’atto sessuale. Anche in questo caso, il piacere dell’uno non deve essere pagato col dispiacere dell’altro” (idem, pp. 129-30). Per significare la centralità della cifra dell’eguaglianza.

 

 

L’ospitalità erotica.


Da tutta questa lunga carrellata filosofica, Onfray deriva, infine, la sua proposta basata su quella che lui chiama l’ospitalità erotica. Ecco come la descrive: “Questa virtù cardinale presso i greci dell’età omerica spinge alla cura dell’altro, alla premura, alla preoccupazione nei suoi confronti, alla sollecitudine, al servizio reciproco, allo scambio di utilità. Essa implica la delicatezza e la dolcezza, la capacità di relazioni intelligenti con l’altro, l’arte di leggere i segni microscopici e di decifrare le qualità infinitesimali in gioco in ogni relazione” (ibid, p. 179). Ospitare è qui inteso come prendersi cura dell’altro e coltivare quella premura e attenzione che portano verso uno scambio reciproco. Questa attenzione all’altro non è, però, quell’altruismo comunemente inteso come “prendersi cura dell’altro prima che di se stessi”. Anzi. “La pratica ospitale esalta l’individuo e la scelta, il nomadismo libertario e l’eccellenza della sovranità (…) Tutte le combinazioni, sessuali e non, sono possibili, quali che siano i sessi, le età, le condizioni, le funzioni” (idem, p. 180). Il punto di partenza è il sé, la propria pulsione vitale ed erotica, il proprio desiderio. Sempre inserito in un contesto egualitario e di reciproco rispetto e godimento.


Tutto questo porta al rifiuto del matrimonio, visto come strumento di contenimento sociale del desiderio e sentito addirittura come “nauseabondo” (idem, p. 168), per proporre un contratto basato sulla libera scelta responsabile da rinnovare quotidianamente e sul principio della giusta distanza: “Il libertino, come lo intendo io, non contrae mai obblighi al di sopra delle sue forze o dei suoi mezzi; non pone mai nulla che vada oltre la sua libertà; non promette mai nulla che non possa mantenere; non si fa trascinare in promesse che impegnano per l’eternità (…) mantiene ciò che ha promesso una volta: di dare e prendere piacere e la determinazione a rompere il contratto o accettare che l’altro ne prenda l’iniziativa, non appena il progetto appare irrealizzabile o quando lo divenga. Il contratto pone a debita distanza” (idem, p. 169-70). Infatti: “contro la famiglia e il sangue… la pratica ospitale esalta l’individuo e la scelta, il nomadismo libertario e l’eccellenza della sovranità” (idem, p. 180). Perché di fondo: “il contratto edonista e il principio elettivo restaurano e magnificano le libertà primitive e fondamentali di scegliere, volere e decidere” (idem, p. 180).


Da qui ne deriva l’importanza di coltivare nella relazione edonista attitudini e qualità quali “affetto, tenerezza, amicizia, amore, simpatia, inclinazione, passione, empatia, attaccamento, propensione, cordialità, dimestichezza, intesa, effusione e tutte le modalità di pulsione di vita declinate in relazione all’intersoggettività” (idem, p. 181). Infatti “questo legame deve la sua più o meno grande qualità alle energie affettive messe in gioco.

Accogliere l’altro, dargli ospitalità erotica, porta in primo luogo a porre la relazione sul terreno dove domina la volontà di godimento reciproco” (idem, p. 181).

 

 

Conclusione.


Per concludere credo che la proposta di Michel Onfray abbia il merito di decostruire alcuni stereotipi che ancora oggi, più o meno consciamente, ci condizionano (come per esempio il mito della la dolce metà) e di incrinare modelli in cui continuiamo a incasellarci (coppia, famiglia, monogamia), per proporre un’etica basata sul principio del piacere inteso come volontà di reciproco godimento.


Possiamo essere più o meno d’accordo col suo modello. Sicuramente non possiamo ignorare la profonda carica rivoluzionaria dell’energia erotica cui Onfray ci richiama ad ogni passo del suo testo. Forse è proprio questo che ancora ci spaventa e ci fa paura. Ed è per questo che la proposta di Onfray è - ahimè - rimasta sulla carta e inascoltata dai più.

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